Nei prossimi cinque anni, il mercato italiano del lavoro metterà a disposizione 2,5 milioni di nuovi posti, dei quali il 70% circa riguarderà professioni di medio-alto profilo. Sono incoraggianti le stime di EY e della sua piattaforma Alleanza per il Futuro del Lavoro, con l’avvertenza però di considerare che quasi il 35% delle competenze attualmente richieste sarà sostituito entro il 2022, e le cosiddette ‘smart machines’ assorbiranno il 33% delle mansioni di oggi. 

Siamo quindi di fronte a un nuovo allarme-robot? Non esattamente. La digitalizzazione e l’automazione di molti processi, tanto nell’industria quanto nei servizi, avrà un impatto sulle funzioni più operative e standardizzate, riducendo ad esempio la domanda di operai generici e segretarie. Come evidenziato da EY, non si tratta tanto di temere la scomparsa di posti di lavoro, piuttosto di ragionare sulla possibilità di usare la tecnologia per recuperare ore/uomo, da destinare ad altre mansioni di maggior valore.  

Se le ore impiegate per attività fisiche e manuali diminuiranno del 15% entro il 2030, e lo stesso accadrà per il tempo speso in attività cognitive di base (come il data entry), gli analisti prevedono infatti che il fabbisogno di competenze tecnologiche salirà del 61% in fatto di ore lavorate, mentre le competenze sociali e relazionali richiederanno il 27% di tempo in più. 

La formazione è dunque cruciale per preparare questo cambiamento e coltivare le professioni digitali che saranno sempre più richieste dalle imprese, indipendentemente dal settore merceologico. Ai giovani che si preparano a entrare nel mondo del lavoro devono quindi essere consigliati percorsi di studi che li mettano a confronto con le tecnologie di oggi e di domani, nonché esperienze pratiche per arricchire il proprio know-how. 

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