E' scoraggiante guardare l’ultima edizione del Digital Economy and Society Index (DESI), l’indice voluto dalla Commissione europea per misurare lo stato dei singoli Paesi in fatto di digitalizzazione: l’Italia si colloca al 25mo posto tra i 28 Stati membri, senza aver fatto alcun progresso rispetto alla precedente analisi datata 2015. Peggio di noi solo Grecia, Bulgaria e Romania, mentre Danimarca, Svezia, Finlandia e Paesi Bassi si collocano in testa alla classifica.
Il giudizio impietoso deriva dal confronto di parametri come la diffusione e l’accesso alla banda larga, le competenze tecnologiche della popolazione, l’utilizzo della Rete per servizi evoluti, l’implementazione di servizi pubblici e sistemi di pagamento digitali. Il DESI punta il dito soprattutto sul notevole deficit di competenze che ancora si riscontra nella maggior parte degli enti pubblici, un problema che pregiudica la possibilità di innovazione di uffici e funzioni. Se il 35% dei Comuni è lontano da un livello soddisfacente di trasformazione digitale, a livello nazionale un cittadino su tre risulta penalizzato nel rapporto con l’amministrazione pubblica e nella fruizione di servizi cui avrebbe diritto.
Anche l’Osservatorio sull'Agenda Digitale curato dal Politecnico di Milano conferma il quadro negativo. Nell’ultimo anno l’80% degli italiani ha utilizzato almeno un servizio pubblico, solo nel 26% è stato possibile accedervi attraverso un canale digitale, anche perché ben 3 Comuni su 4 non hanno al momento attivato alcuno strumento in proposito, e continuano a erogare i servizi esclusivamente nella modalità tradizionale.
La frammentazione della macchina amministrativa (quasi il 70% dei nostri Comuni ha meno di 5 mila abitanti, dunque ha dimensioni e risorse poco compatibili con investimenti ad alto impatto) spiega solo in parte il ritardo accumulato negli anni. L’ostacolo maggiore è, come ipotizzato dallo stesso DESI, di ordine culturale. L’introduzione dello Spid ha senza dubbio mosso le acque e accelerato alcune dinamiche, ma le quasi 3 milioni di identità digitali finora rilasciate sono poca cosa rispetto alla quota di 10 milioni che avrebbe dovuto essere raggiunta entro la fine dello scorso anno. Anche l’Anagrafe digitale unica non è finora decollata: sono circa 3.300 gli enti a oggi collegati in rete, meno della metà di quanti dovrebbero.
Una notizia confortante arriva invece da PagoPA, la piattaforma realizzata per semplificare i pagamenti di beni o servizi ceduti a enti pubblici, dai Comuni all’Agenzia delle Entrate, fino a Inail e Aci. Qui sono oltre 16 milioni le transazioni registrate nell’anno, con un aumento record del 200% rispetto al 2017. Lazio, Lombardia e Veneto sono le regioni dove PagoPA è più usato, ma c’è da sperare che l’esperienza contagi in positivo il resto d’Italia, e anche gli altri servizi pubblici.